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Dal Paradiso all’Inferno: due anni di amarezze che hanno umiliato la passione

Si è concluso nella maniera peggiore il torneo che doveva riportare il Lecce nel "calcio che conta". Ma la ruota ha iniziato a girare per il verso sbagliato dalla tentata combine del derby nel maggio 2011, che ha portato il Lecce in Prima Divisione

Di Michele si scusa con in tifosi: è il 5 maggio del 2012, il Lecce ha perso con la Fiorentina.

LECCE –  Il 15 maggio del 2011 il settore ospiti dello stadio San Nicola di Bari ribolliva di entusiasmo. Il Lecce aveva appena conquistato la salvezza contro i cugini, già retrocessi: “Lecce in festa, la salvezza più bella arriva nel derby”, così titolava questo giornale e nel primo commento in calce all’articolo un militare salentino di stanza in Afghanistan ringraziava LeccePrima per averlo reso partecipe di un campionato chiuso nella maniera più esaltante. Fa male rileggere, oggi, quelle parole, ripensare agli stati d’animo di quella infinita domenica, alla concitazione di voler raccontare l’impresa che aveva reso orgogliosa una provincia intera.

Una partita, quella che è entrata nella storia del calcio leccese, anche se il tempo s’è incaricato di fornire un’altra chiave di lettura. Eh sì, perché la giustizia sportiva, che ha delle regole tutte sue, ha stabilito che Pierandrea Semeraro e Carlo Quarta su sponda giallorossa, Andrea Masiello e i suoi sodali su quella biancorossa cercarono di alterare il regolare esito di quella partita, in un groviglio di colloqui, incontri, raggiri e millanterie. C’è anche un procedimento penale che sta muovendo i primi passi proprio in queste settimane, ma il verdetto del mondo del pallone è stato emesso e la pena già scontata: Lecce retrocesso d’ufficio in Lega Pro.

Questo accadeva nell’estate dello scorso anno, quando intanto si era consumato un complicato passaggio di consegne tra Giovanni Semeraro e Savino Tesoro alla guida del club ed era ancora da smaltire la retrocessione, questa maturata sul campo, dalla A alla B. Nonostante una coraggiosa rincorsa, scandita dal carisma di Serse Cosmi subentrato ed Eusebio Di Francesco, il Lecce salutava la massima serie dopo aver sfiorato la conquista della salvezza. Il 5 maggio del 2012, in una commovente cornice di pubblico, i giocatori del Lecce si arrendevano alla Fiorentina e all’evidenza dei fatti: l’obiettivo, purtroppo, era stato mancato. Tomovic, uno di quelli che nella vita avranno pianto poche volte, basta vederlo, si precipitava sotto la curva Nord, osannante e osannato, e, come lui, Di Michele e tanti altri. Una settimana dopo, a Verona, il verdetto acquisiva i crismi dell’ufficialità ma lo spettacolo dei tifosi andava in scena lasciando a bocca aperta mezza Italia.

Sembra passata un’era geologica e, invece, da quella giornata comunque memorabile per tutti coloro che amano il calcio e la sana passione sportiva all’incubo che si è materializzato sul Via del Mare sono trascorsi solo 13 mesi. Le immagini della rabbia, della violenza, della frustrazione viste tante volte in tv su altri palcoscenici hanno preso plasticamente e drammaticamente forma sul prato del Via del Mare e poi, ancora, fuori, tra cariche e lacrimogeni.

Il risultato emerso al 90’, con il Carpi meritatamente in festa per la conquista della promozione, non può che essere considerato una conseguenza abbastanza prevedibile di una stagione nata sull’emergenza dell’attesa per le decisioni della giustizia sportiva e gestita poi - con tutte le complicazioni del caso - non senza una certa inesperienza da parte dei dirigenti palesatasi soprattutto nei passaggi cruciali della stagione: la successione di tre allenatori sulla panchina è stata una dimostrazione di debolezza. L’esito di un campionato, del resto, non è mai occasionale come può, invece, essere episodico il risultato di una partita. Ecco, dalla consapevolezza dei propri limiti si dovrebbe ripartire, ammesso che ci sia la incondizionata volontà di farlo nella proprietà attuale o nelle cordate che, si vocifera, stiano lavorando dietro le quinte per avanzare un’offerta.

Nel calcio non si vive di ricordi o di blasone, ma di sudore e umiltà, di amicizia e forza di volontà. Tutti fattori che sono mancati ad una truppa che ha deluso da ogni punto di vista, a partire da quello umano. E che, nel complesso, non merita una seconda chance. Generalizzare non si deve mai, ma i calciatori confermati non possono che essere eccezioni.

In fondo, negli ultimi due anni, si sono manifestati tutti o quasi i mali del calcio, dalla tentata combine, che è quanto di più vergognoso possa essere fatto in ambito sportivo, alle divisioni nello spogliatoio che hanno compromesso l’ultimo torneo e che rendono l'idea di quanto inadeguate siano, talvolta, le persone rispetto al compito che sono chiamati ad interpretare. Senza dimenticare naturalmente gli episodi, mai giustificabili di violenza. Quanto basta per auspicare la scrittura di una nuova storia: il Lecce oggi ha bisogno più che mai di riconciliarsi con la passione prima ancora che con le categorie che sulla carta gli competono. 


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