Politica

Criminalità e potere: la ricerca del consenso e il metodo mafioso

Dalla visita della commissione parlamentare e dalla presenza di Nino Di Matteo a Lecce, elementi fondamentali per una riflessione sulle trasformazioni in corso

Di Matteo a Lecce il 22 febbraio.

LECCE – Cosa è la mafia oggi? La risposta a questa domanda è propedeutica a quella successiva: a Lecce e nel Salento in genere la presenza dei clan della Sacra Corona Unita è marginale e comunque relegata alle tradizionali attività illecite, oppure c’è un terreno nel quale è necessario affondare gli artigli dell’analisi?

La visita di 48 ore della commissione parlamentare antimafia ha fornito almeno tre elementi interessanti per la riflessione: la constatazione che il potere criminale locale non pare aver ancora compiuto quel salto di qualità trasformandosi in mafia imprenditrice; il sospetto che la contiguità tra mafia e istituzioni locali sia più diffusa di quella fino ad ora emersa; la consapevolezza che la Scu è alla ricerca di consenso sociale garantendo a fasce deboli della popolazione un welfare e un sostegno economico rispetto al quale lo Stato è inefficiente o in arretramento.

Già all’inizio del 2012, del resto, il procuratore capo della Repubblica, Cataldo Motta, nella consueta relazione sull’amministrazione della giustizia aveva messo in guardia rispetto all’operazione di radicamento in corso nel quadro di una provvisoria “pax mafiosa”: meno fatti di sangue, maggiore dedizione alle attività economiche, come usura ed estorsioni.

Motta parlò di “stagione dei fuochi d’artificio”, per definire la pratica di festeggiare le scarcerazioni o esprimere solidarietà ai detenuti, sul modello camorristico: un’ostentazione della propria presenza che continua ancora oggi. Le risultanze delle audizioni fatte dalla commissione parlamentare, lasciano supporre che il monito del procuratore non sia stato colto nella sua effettiva gravità.

Altre indicazioni molto interessanti sono venute, sempre la scorsa settimana, dall’incontro presso palazzo Codacci Pisanelli cui ha partecipato Nino Di Matteo, sostituto procuratore della Repubblica di Palermo, protagonista principale e anche discusso dell’inchiesta sulla trattativa Stato-Mafia che avrebbe posto fine alla fase stragista dei primi anni novanta.

Nel contesto di una relazione intitolata “La mafia dal colletto bianco”, Di Matteo ha detto ad una platea composta in gran parte da giovani di essere molto preoccupato dal fenomeno “dell’adozione del metodo mafioso nell’esercizio del potere”, più che dall’aspetto militare della criminalità organizzata.

Cosa significa? Che non basta vigilare sull’infiltrazione delle istituzioni con personaggi organici o direttamente riconducibili ai clan, ma che è necessario verificare che la gestione della cosa pubblica, dalle risorse economiche al conferimento di incarichi, non sia inquinata da modalità per le quali, ad esempio, il soddisfacimento di un diritto diventa moneta di scambio: voti, denaro, favori. Insomma Di Matteo ci dice che esiste una mentalità mafiosa anche senza la mafia per come l'abbiamo conosciuta.

Il settore dell’edilizia residenziale pubblica, quello sotto la lente della magistratura leccese, tradizionalmente si presta tanto all’arroganza del potere criminale, quanto all’ambiguità dell’esercizio del potere pubblico. Sarà l’azione giudiziaria in corso a definire i contorni di questa vicenda, ma più in generale si tratta di una spia che ci invita a spostare la riflessione dal tema della criminalità in accezione classica a quello di legalità, di trasparenza amministrativa. Aggiornare le categorie interpretative del fenomeno mafioso è dunque necessario per poter fornire risposte adeguate ai segnali che emergono, e non da oggi.

Quando Giovanni Falcone predicava la necessità di nuovi strumenti investigativi, c’era ancora chi, nelle istituzioni e nel mondo politico, negava l’esistenza di Cosa Nostra. Si prese coscienza in breve, invece, che la mafia non solo era viva e vegeta nelle sue articolazioni militari, ma che era addirittura un sistema parallelo e alternativo allo Stato, dal quale però non poteva prescindere per fare affari (lo ripete, ai giorni nostri, Nino Di Matteo). Roberto Scarpinato, il procuratore generale di Palermo, proprio oggi - in un'intervista a Repubblica - conclude dicendo di ritenere insufficienti le categorie penali del concorso esterno e dell'associazione mafiosa.

Spesso, per affrontare adeguatamente un problema, è fondamentale essere tempestivi nella reazione, evitando il ripetersi di alcuni errori.


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