Politica

“Sto morendo lentamente”. La rabbia del pilota vittima dell’uranio

Carlo Calcagni, di Guagnano, è costretto a curarsi presso un centro specializzato del Regno Unito. Con una lettera chiede alle autorità politiche di convertire le spese militari in finanziamenti alla sanità pubblica

@TM News/Infophoto

LECCE – “Sto morendo lentamente in seguito alla costante degenerazione delle mie cellule che si stanno tramutando, in tutto il mio corpo, in cellule cancerose”. Le parole di Carlo Calcagni, purtroppo, sono di quelle che non si prestano ad interpretazioni. Lui è un militare originario di Guagnano che durante la missione in Bosnia Erzegovina ha contratto una gravissima patologia per la quale, sempre più di frequente, è costretto a recarsi presso il "Breakspeare Hospital", nel Regno Unito, centro altamente specializzato.

“Il mio corpo – scrive in una lettera indirizzata al Presidente della Repubblica, al premier Mario Monti, al governatore Nichi Vendola e ai membri della Commissione parlamentare sull’uranio (in allegato il documento integrale) - è diventato una discarica di metalli pesanti generati proprio dall’esplosione delle bombe con uranio impoverito che i nostri alleati americani hanno utilizzato per bombardare la ex Jugoslavia appena prima del nostro intervento nei Balcani come forza multinazionale di pace, sebbene la mission internazionale del nostro Paese sia fondata sull'opzione non violenta e che dovrebbe rispettare l’articolo 11 della Costituzione: Ripudiamo la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.

Si è arruolato nel 1988, è diventato uno dei migliori piloti di elicottero in circolazione, ha partecipato a delicate operazioni sia sullo scenario italiano che in missione all’estero: “Vespri siciliani”, “Partenope”,  “Riace”, Albania, Turchia e dunque la ex Jugoslavia, guadagnandosi sempre gli elogi dei suoi superiori e l’apprezzamento dei contingenti stranieri. Il grande impegno professionale e i lunghi periodi trascorsi lontano da casa non spengono la sua passione sportiva, l’amore per il ciclismo, nel quale continua a distinguersi arrivando nel 2001 ad essere proclamato il miglior atleta dell’esercito italiano. E’ freddo e preciso quando calibra il volo dei suoi elicotteri anche nei più insidiosi teatri di guerra, ribolle di entusiasmo quando riesce a inforcare la bici, quella stessa che ha dovuto riporre in garage, all’inizio della scorsa estate, perché la sua sfida più grande non la può vincere pedalando.

Calcagni riscuote encomi, ed elogi – ma nessuna medaglia –, nel 2000 diventa istruttore di volo per formare i piloti italiani. Dopo due anni però, scopre di trovarsi in un tunnel: i malesseri, le prime visite mediche, gli accertamenti, le diagnosi sempre più precise ad agghiaccianti, le cure, la burocrazia, la lotta con se stesso per tirar fuori tutta la forza di volontà di cui può essere capace un uomo, un militare, un atleta consapevole che il suo corpo sto morendo, giorno dopo giorno.

Nel 2006, a marzo, ottiene, su sua richiesta, il trasferimento alla Scuola di cavalleria di Lecce, dalla quale è più agevole spostarsi presso il reparto di Oncoematologia del “Voto Fazzi” dove era già in cura in regime di day-hospital. Il 30 ottobre del 2007, la sua patologia viene riconosciuta dalle commissioni mediche militari dipendente da cause di servizio. Nel gergo della burocrazia si tratta di un’invalidità permanente riportata “per le particolari condizioni ambientali ed operative di missione fuori area” e per questo gli viene riconosciuto lo status di vittima del dovere: “Sono stato iscritto nel Ruolo d’Onore, mi è stato concesso il distintivo d’onore di ferito in servizio e di mutilato in servizio,   ma resto, ancor  oggi, in attesa di un riconoscimento morale da parte del ministero della Difesa che non ho mai avuto”.

L’ex pilota vive con rabbia la sua condizione di malato grave costretto a lunghi ricoveri in Inghilterra, ritiene inconcepibile che l’Italia non si attrezzi – pur avendo le risorse umane per farlo – per la terapia e l’assistenza di casi gravi come il suo. Per questa ragione chiede di convertire le spese per le missioni all’estero in finanziamenti per la sanità pubblica, di utilizzare quei “soldi sporchi” in “cose vere ed essenziali”.

La risposta di Vendola: “Farò la mia parte per arrivare alla verità sui morti e le malattie”.

Il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, candidato alle primarie del centrosinistra e chiamato direttamente in causa dall’ex pilota dell’esercito, ha pubblicato sul suo sito la lettera che Calcagni stesso gli ha chiesto di divulgare e, dopo aver ricordato che sono oltre 2500 i militari che hanno contratto gravi malattie per essere venuti a contatto con le micro particelle dei metalli pesanti, ha risposto alla lettera ricevuta.

“Caro Carlo, mi hanno detto che sei un ciclista d’altri tempi. Ma voglio contribuire a correre un pezzo di corsa con te, per vincere. Mi chiedi di mantenere le promesse, di ridurre drasticamente le spese militari e di ripudiare la guerra. Lo farò perché la pace, la non violenza, la cooperazione tra i popoli sono per me bussole non barattabili. Intendo la politica come inchiesta sulle cose della vita, come indignazione civile, come prefigurazione di un mondo liberato: farò la mia parte perché si arrivi alla verità sulle morti e sulle malattie causate dall’uranio killer, mi impegnerò, come ho già fatto, per sottrarre dall’omertà e dall’oblio un Paese che dimentica in fretta e preferisce non sapere”.

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