Economia

“Fiat, quale futuro?”: Fiom Cgil analizza la crisi del metalmeccanico

In vista dell'incontro tra Lingotto e sindacati, Cgil ospita il referente nazionale De Palma. Preoccupazioni sul futuro dei lavoratori, indotto compreso. "I contratti di solidarietà, unica alternativa ai licenziamenti"

 

LECCE - Dalla vertenza nazionale Fiat alle criticità del settore metalmeccanico della provincia di Lecce, il passo è più breve di quanto non s’immagini. Innanzitutto perché nella zona industriale del capoluogo esiste uno stabilimento collegato al Lingotto, Fiat Cnh, specializzato nella produzione di macchine movimento terra, e poi perché l’indotto industriale comprende anche Lasim ed Alcar che impiegano altre 400 persone.

Domani, l’atteso incontro tra il numero uno di Fiat, Sergio Marchionne ed i sindacati metalmeccanici nazionali, mette sull’attenti a anche la segreteria territoriale di Fiom Cgil di Lecce che, per l’occasione, ospita il responsabile nazionale del settore auto Michele De Palma. Nessuno, dalla sede leccese del sindacato, fa mistero sulle preoccupazioni che avvolgono il “presunto” piano industriale del colosso torinese: presunto perché, in tempi non sospetti, Fiom – ormai bandita da tutti gli stabilimenti del gruppo – aveva parlato del progetto “Fabbrica Italia” come di un “fallimento annunciato”. “Sin dall’inizio abbiamo riscontrato una mancanza di programmazione chiara, con investimenti precisi per ogni stabilimento italiano e per ogni tipo di produzione”, spiega De Palma. Ad oggi, “l’unica fabbrica che produce auto si trova a Mirafiori, dove gli operai lavorano su turni, mentre buona parte degli altri stabilimenti hanno chiuso o sono alle prese con gli ammortizzatori sociali”.

La Fiom, in versione “cassandra” non aveva intravisto all’ora un “serio piano di investimenti” ed ancora oggi incalza il Lingotto riguardo i dettagli di “un piano industriale che non conosciamo” e che non sembra ispirargli fiducia:“Noi siamo sindacalisti abituati a ragionare con i numeri, e non con vuote previsioni. Nonostante l’iniezione di soldi pubblici, Fiat è stata capace di perdere, quest’anno, un punto percentuale nel mercato interno. Un dato preoccupante - aggiunge De Palma – che deve far riflettere su come i soldi dovrebbero essere investiti per aumentare la competitività della più grande azienda italiana, producendo veicoli eco compatibili ed innovativi”.

Nessuno nega la crisi mondiale del settore e Fiom Lecce non mette un freno ai contributi pubblici e privati ma, sostiene De Palma “il Lingotto ha ormai trasferito il suo core business in America e tratta i dipendenti italiani come un peso”.

Sebbene i metalmeccanici di Cgil siano ormai esterni al tutte le fabbriche, e quindi privi di rappresentanza interna, riportano notizie “su un peggioramento delle condizioni lavorative”. “Ci avevano detto che tagliando i diritti ed i salari le cose sarebbero migliorate, ma non è così”, denuncia il segretario provinciale Salvatore Bergamo. Poche o nulle le notizie relative allo stato di “salute” dello stabilimento leccese: “La produzione dovrebbe continuare a pieno regime, ma non si fanno più quelle riunioni trimestrali, all’interno della fabbrica, sulle previsioni di mercato nel breve periodo”.

 Il sindacato non ha modo di sbilanciarsi quindi, ma non frena le sue preoccupazioni. Anzi annuncia la necessità di combattere il rischio licenziamenti che incombe sulla testa degli operai di tutto il Salento, ricorrendo ai contratti di solidarietà: distribuendo il lavoro per mitigare l’impatto negativo della crisi sui salari. In più Fiom annuncia una battaglia, a suon di firme, per ripristinare le condizioni originarie dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (pre- ministro Fornero, quindi) e per l’annullamento dell’articolo 8 della legge finanziaria, introdotto dal governo Berlusconi. Per chi non lo ricordasse, l’articolo  “permette a Fiat di derogare alle leggi, allo Statuto ed al contratto collettivo”. Con la conseguenza di “un annullamento dei diritti, soprattutto al Sud in cui esistono imprese che già derogano rispetto ai minimi salariali”, spiega DePalma.

Chi lavora nel Salento, rischierebbe quindi, di percepire uno stipendio nettamente inferiore rispetto ad un collega impiegato a pochi chilometri di distanza: “Riusciamo a immaginare le ricadute di un abbattimento dei salari  sull’intera economia salentina?”. La domanda del segretario De Palma suona come un campanello d’allarme che dovrebbe scuotere tutti, “istituzioni e amministratori locali, in primis”.


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