Il pesce rosso vera sorpresa dell’apertura dei sotterranei di Palazzo Adorno
Pochi metri sotto il livello stradale, l’acqua della falda che i leccesi chiamano il fiume Idume si accumula in quella che per secoli è stata una cisterna. E prima ancora, forse, una vasca di purificazione di una scuola ebraica. Il sito è stato aperto in via eccezionale e i cittadini hanno risposto in tanti
LECCE – C’è una storia nella storia, nei sotterranei di Palazzo Adorno. Una gioco di incastri tra la dimensione apparentemente insignificante di un banale pesce rosso e il fascino dei secoli che tanto inghiottono e qualche volta restituiscono.
Circa due anni addietro un frequentatore assiduo della sede del presidente della Provincia ha pensato di tre esemplari in quella sorta di vasca che si trova alcuni metri sotto il livello interrato - subito dopo ne furono aggiunti altri due - alla quale ci si affaccia dopo un ripida scalinata. Che gli animali sopravvivessero, o che ci riuscisse almeno uno, non era affatto scontato sebbene si sappia con certezza che un altro pesce, in tempi non lontani, ha vissuto a lungo nelle medesime condizioni. Questo significa due cose: che l’acqua è batteriologicamente pura, ma anche che non ristagna beneficiando invece di un ricambio naturale. In pratica, si potrebbe bere.
E’ quella dell’Idume, che non è un fiume come un po’ spocchiosamente si dice, ma il primo livello della falda che a causa delle particolari caratteristiche del sottosuolo – friabile, in alcune parti argilloso - tende ad accumularsi e creare dei percorsi che diventano sempre più evidenti via via che procedono lavori di ristrutturazione di immobili (per questo è lecito supporrte che gli altri pesci rossi potrebbero essersi spostati). Sul litorale leccese, verso Torre Chianca, questa falda emerge in superficie (risorgiva), sembrando a tutti gli effetti un corso d’acqua.
E’ stato l’assessore all’Ambiente Andrea Guido a voler l’apertura in via eccezionale del sito, con l’assenso della Provincia di Lecce. Grazie alla collaborazione della protezione civile è stato possibile far accedere piccoli gruppi di curiosi. L’attesa è stata anche di mezz’ora e più per quello che si può definire un “tuffo” senza bagnarsi: il tempo di una foto e di rimanere basiti scorgendo il pesciolino e via per lasciare spazio a chi è in attesa. In tanti hanno risposto al passaparola che Guido ha lanciato su Facebook.
Ma nel 1540, ha ricordato Luigi Leonte, Carlo V emanò un editto in seguito al quale la sinagoga venne demolita e gli ebrei scacciati dalla città e da tutto il regno con l’accusa di usura. Fu allora, ha spiegato ancora Pagliara, che l’iscrizione “Questa non è che la casa di Dio” fu recuperata dal sito originario, oramai distrutto, e collocata in quella che con ogni probabilità fu la cloaca della nobile famiglia cattolica che risiedeva a Palazzo Adorno. Un chiaro segno di disprezzo. Non tutti però concordano con questa interpretazione. Secondo altri, infatti, sarebbe un puro caso che l’iscrizione si trovi in quel punto: la convinzione è che agli Adorno servisse semplicemente materiale di risulta e che fosse comodo prelevarlo dalla sinagoga. I lavori di costruzione dell’attuale sede provinciale, infatti, furono iniziati alla metà del XVI secolo dalla famiglia dei Loffredo-Spinelli e poi completati da Giovanni Matteo Adorno.
E se la storia lascia aperti alcuni interrogativi, non di meno resta da capire come rendere fruibile questo ulteriore tesoro del centro storico di Lecce, fino ad oggi inaccessibile se non ai dipendenti dell’ente. L’obiettivo di Guido è di avviare un percorso di messa in sicurezza che porti all’apertura del sito che leccesi e turisti senza dubbio apprezzerebbero.
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