Cronaca

Omicidio Padovano, tutti a giudizio. Dal 20 gennaio

Il gup de Benedictis ha rinviato a giudizio gli otto imputati coinvolti nell'inchiesta sull'omicidio dell'ex boss gallipolino. Nessuno ha scelto riti alternativi. La requisitoria è del pm Mignone

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Inizierà il prossimo 20 gennaio davanti ai giudici della Corte d'Assise il processo nei confronti dei presunti responsabili dell'omicidio del boss Salvatore Padovano, ucciso a colpi di pistola la mattina del 6 settembre 2008 a Gallipoli. Il gup Annalisa de Benedictis ha rinviato a giudizio gli otto imputati, che secondo il pubblico ministero Elsa Valeria Mignone farebbero parte della malavita gallipolina.

Finirà dunque in aula il mandante reo confesso Rosario Padovano, 39 anni di Gallipoli, fratello di Nino Bomba; Fabio Della Ducata, 44 anni, accusato di aver dato un supporto logistico; Carmelo Mendolia, 42 anni, originario di Gela, killer di Padovano che dal carcere di Busto Arsizio sciolse il giallo dietro l'omicidio rivelando agli inquirenti tutti i retroscena; Giorgio Pianoforte, 47 anni, cugino dei fratelli Padovano. Mendolia è stato l'unico a scegliere di essere giudicato con il rito abbreviato: l'udienza si terrà il prossimo 24 gennaio.

Pur estranei all'omicidio, sono accusati di far parte del gruppo criminale capeggiato da Rosario Padovano Massimiliano Scialpi, 38 anni, Giuseppe Barba, 40 anni, e Cosimo Cavalera, 34 anni, tutti gallipolini. Mendolia, Padovano e Marco Barba, 37 anni di Gallipoli, sono anche ritenuti responsabili dell'omicidio di Carmine Greco del 13 agosto del 1990 nella città jonica.

Questa mattina hanno partecipato all'udienza soltanto Fabio Della Ducata, Giorgio Pianoforte e Marco Barba: quest'ultimo oggi ha prodotto un memoriale, per spiegare che pur essendo vicino ai Padovano non avrebbe mai partecipato ad alcuna attività criminosa.

Le indagini sull'omicidio del boss gallipolino, condotte per diverso tempo senza risultato, ebbero una svolta con le dichiarazioni di Carmelo Mendolia, detenuto nel carcere di Busto Arstizio. Il 9 aprile dello scorso anno venne arrestato con le accuse di detenzione e porto abusivo di arma da fuoco dalla polizia, in provincia di Varese. E si fa risalire a quella data l'avvio del suo contributo.

Reo confesso dell'omicidio di Salvatore Padovano, addosso ritrovarono un pistola 7.65. Un'arma che ha raccontato di aver effettivamente portato con sé quel giorno, davanti alla pescheria "Paradiso del mare", lungo la Gallipoli-Santa Maria al Bagno. Ma non sarebbe stata quella usata per sparare alla testa del boss. Una sorta di riserva, qualora avesse avuto inconvenienti, magari si fosse inceppata. La pistola dell'omicidio, una semiautomatica Beretta, calibro 9 corto, con matricola abrasa, era stata ceduta ad un suo amico. Il killer ha detto anche dove ritrovarla. Il giorno successivo, è stata rinvenuta in possesso della persona da lui citata, a Gallarate. I riscontri della scientifica hanno dimostrato come non mentisse. Era la bocca di fuoco rivolta contro Padovano. Gli investigatori hanno dunque ritenuto che le sue dichiarazioni fossero da assumere con la massima serietà.

Mendolia, che avrebbe tra l'altro trasgredito ad un ordine impartito proprio dal presunto mandante dell'assassinio del fratello, ovvero proprio quello di sbarazzarsi delle pistole, avrebbe agito sotto la promessa di un compenso di 10mila euro ed un'auto, una Bmw. Promesse in parte mantenute. A parte l'auto, sulla quale sarebbe fuggito, su 10mila euro, 6mila sarebbero effettivamente stati ottenuti. Il siciliano trapiantato in Lombardia ha anche fatto rivelazioni scottanti, tutte però da verificare. Ha sostenuto di aver conosciuto la famiglia Padovano in occasione di un altro omicidio, quello di Renè Greco, avvenuto nell'agosto del 1990, sempre - a suo dire -, eseguito su mandato di Rosario Padovano, che avrebbe rivisto ancora una volta nell'agosto del 2008, durante un soggiorno per villeggiatura a Gallipoli. Un mese prima dell'agguato mortale, quindi. Ed avrebbe accettato l'incarico.

Cinque colpi d'arma da fuoco, tre dei quali letali. Tanti sarebbero stati esplosi quella mattina davanti alla pescheria di Pianoforte. Il sicario arrivò a bordo di uno scooter Yamaha Majestic, ritrovato successivamente a circa un chilometro di distanza dal luogo dell'agguato, in località Rivabella. Era un sabato mattina. Salvatore Padovano si era recato dal cugino per acquistare del pesce. Sarebbe stato chiamato proprio da lui all'esterno del locale. Un urto accidentale tra lo scooter e la Bmw di Padovano, posteggiata vicino all'ingresso. Proprio il fatto che ad attirarlo fosse stata una voce conosciuta, non gli diede scampo. Non dovette certo pensare ad un inganno mortale, in quei tremendi istanti che precedettero gli spari. E invece, ad attenderlo, fuori, quell'uomo con il casco calato sul volto. I colpi, sordi, vibrarono nell'aria. Poi, la fuga, sempre sullo scooter, abbandonato per scomparire nel nulla. Mendolia rientrò in Lombardia. Gli imputati sono difesi dagli avvocati Luigi Corvaglia, Luigi Piccinni, Vincenzo Venneri e Roberta Romano.


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