Omicidio di Trepuzzi, chiuse le indagini preliminari su Fabio Perrone
Omicidio volontario aggravato da futili motivi e tentato omicidio.Ssono queste le accuse nei confronti di Fabio Antonio Perrone, l'uomo di 41 anni accusato delitto di Fatmir Makovic, 45enne, e del tentato omicidio di suo figlio 16enne, avvenuti la notte tra il 28 e il 29 marzo scorso a Trepuzzi
LECCE – Omicidio volontario aggravato da futili motivi e tentato omicidio.Ssono queste le accuse formulate dalla procura di Lecce nei confronti di Fabio Antonio Perrone, l’uomo di 41 anni accusato delitto di Fatmir Makovic, 45enne, e del tentato omicidio di suo figlio 16enne, avvenuti la notte tra il 28 e il 29 marzo scorso a Trepuzzi. All’uomo, assistito dall’avvocato Antonio Savoia, è stato notificato l’avviso della conclusione delle indagini preliminari.
Un delitto per certi versi ancora misterioso. Perrone raccontò di aver trascorso la serata nel bar, dove sarebbe poi scoppiato, per motivi che seppe precisare, un litigio con alcuni cittadini residenti nel campo sosta Panareo, tra cui la vittima e due dei suoi figli. La discussione sarebbe poi proseguita all’esterno dell’esercizio commerciale, dove Perrone sarebbe stato affrontato e dove, strappata l’arma a uno degli aggressori (non ha saputo specificare se a estrarre la calibro 9 sia stata la vittima), sarebbe iniziata la sparatoria. Una tsi confutata, però, dalla perizia dattiloscopica eseguita sull’arma del delitto (una Crvena Zastava, una pistola calibro 9 semi automatica di fabbricazione serba, una delle tante armi arrivate sulle nostre coste dopo il conflitto che ha infiammato e disgregato l’ex Jugoslavia).
A suo dire il 41enne avrebbe sparato alla cieca, obnubilato da una sorta di furia mista a spirito di sopravvivenza. Sono ben sedici i colpi esplosi da Perrone (sette quelli che hanno colpito Fatmir Makovic, finito nel bagno dell’esercizio commerciale), che ha svuotato l’intero caricatore della pistola, corredata da caricatore da 15 proiettili (più uno in canna). Il bilancio di quel folle venerdì di sangue poteva dunque essere più tragico.
Poco convincente, per gli inquirenti, anche il racconto della fuga. Perrone ha raccontato di aver fermato un passante e di averlo costretto ad accompagnarlo con la sua Fiat Panda. Dopo avrebbe incrociato un suo parente, Alessio Perrone, che gli avrebbe consegnato l’auto per raggiungere l’abitazione dov’è stato poi arrestato nei pressi di Casalabate. Entrambi risultano indagati per favoreggiamento.