Cronaca

Gli affari del clan Padovano gestiti da "irriducibili"

Nuova notifica per associazione mafiosa per Rosario Padovano. Insieme con lui, Fabio Della Ducata, Massimiliano Scialpi, Giuseppe Barba e Cosimo Cavalera. Il business esteso anche verso il Nord Italia

Pompero Rosario Padovano.

GALLIPOLI - Gli "irriducibili". Così sono stati ribattezzati gli uomini più vicini al capo. Alcuni dei quali, con ruoli ben definiti. La scala gerarchica contemplava anche i suoi luogotenenti, con mansioni organizzative e ruoli di supplenza al comando. Tutto emerso nel terzo stralcio dell'operazione "Galatea". Un'indagine che rappresenta il fiore all'occhiello dei carabinieri del Ros e del comando provinciale di Lecce. Con l'ennesimo, duro colpo inferto al clan Padovano, gruppo storico di Gallipoli, in una lotta senza quartiere che si trascina da anni, e la viva speranza, da parte del procuratore capo Cataldo Motta, presente oggi alla conferenza stampa che s'è svolta nel quartier generale dell'Arma, in via Lupiae, che tutto l'impianto accusatorio resista, per chiudere definitivamente una lunga parentesi in cui non sono mancati momenti d'alta tensione, anche recenti, dopo l'esecuzione di Salvatore Padovano, alias "Nino Bomba", ritenuto il boss storico del sodalizio, ma entrato in aperto e insanabile contrasto con suo fratello Pompeo Rosario. Il mandante del suo omicidio.

L'ordinanza di custodia cautelare eseguita questa notte, emessa dal gup del Tribunale di Lecce, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia della Procura della Repubblica, riguarda cinque persone, imputate di associazione mafiosa. Pompeo Rosario Padovano, appunto, 38enne, ritenuto il leader, già detenuto per l'assassinio del fratello. E poi, i quattro "irriducibili": Fabio Della Ducata, detto "Fabio Nano", 44enne; Massimiliano Scialpi, 38enne (uscito dal carcere solo da qualche giorno dopo avervi sostato poche ore, scagionato per un altro episodio, slegato comunque da queste vicende); Giuseppe Barba, detto "Peppe u' Dannatu", 40enne; Cosimo Cavalera, 34enne. Tutti gallipolini.

I provvedimenti, come anticipato, scaturiscono da un'indagine condotta su quel clan che rappresenta da sempre un gruppo di spicco della frangia salentina della Sacra corona unita, con Pompeo Rosario Padovano diventato leader, dopo aver fatto liquidare il fratello Salvatore. Per gli investigatori, un omicidio commissionato proprio per conquistare lo scettro. I carabinieri avrebbero dunque documentato il processo di riorganizzazione del sodalizio. Rosario, dopo la sua scarcerazione e la morte di "Nino Bomba", ucciso in un agguato il 6 settembre del 2008 davanti alla pescheria "Paradiso del mare" (https://www.lecceprima.it/articolo.asp?articolo=10255), avrebbe progressivamente esteso la sua influenza sull'intero circondario gallipolino. Obiettivo: ottenere il controllo assoluto sul territorio di vari tipi di attività. Illecite, ma non solo. Aspetto sintomatico di come i sodalizi criminali si facciano sempre più raffinati.

Per la Dda di Lecce, l'omicidio di "Nino Bomba", sarebbe stato proprio il preludio per la nascita di una gestione autonoma del clan da parte del fratello. E gli affiliati ne avrebbero riconosciuto senza indugio il ruolo di leader, con mire espansionistiche condite dal reinvestimento di proventi illeciti in attività d'import-export, ma anche nel settore della commercializzazione di prodotti ittici. Uno degli aspetti nuovi, su cui verte gran parte della nuova ordinanza, sarebbe dunque la permanenza del clan anche dopo l'arresto di Pompeo Rosario. La linea di continuità sarebbe stata garantita grazie anche alla suddivisione di ruoli.

Nella presunta compagine mafiosa, Barba e Cavalera, in particolare, sarebbero stati i referenti sul territorio, soprattutto nel periodo successivo all'arresto di Padovano, di Della Ducata, del killer siciliano Carmelo Mendolia (colui che, sotto promessa di compenso, sparò a "Nino Bomba") e di Giorgio Pianoforte (cugino dei Padovano), proprio per l'omicidio di Salvatore, l'uomo che, scontato un ventennio di carcere, aveva ricominciato una vita, dedicandosi anche alla letteratura ed alla poesia. Ma per gli investigatori, non senza tentare per questo di riprendere in mano la gestione degli affari di famiglia. Come noto, sono stati tutti rinviati a giudizio per quel delitto e per associazione mafiosa il 29 settembre del 2010. La prima udienza del processo in Corte d'Assise è prevista per il 20 gennaio 2011.

Ma allora, da cosa scaturiscono, esattamente, questi nuovi arresti? Gravi indizi di colpevolezza, in ordine proprio all'associazione mafiosa. Concretamente, per i militari del Ros, che hanno continuato a tenere la lente puntata su Gallipoli, sarebbe apparsa indicativa un'affermazione di Pompeo Rosario Padovano, durante un colloquio in carcere con i familiari, sul fatto di "fidarsi" di Giuseppe Barba. Persona dotata di carisma, sarebbe stato in grado di tutelare la famiglia ed i suoi interessi. Ciò avrebbe tracciato, di fatto, la volontà di assicurare la sopravvivenza dell'associazione anche nel momento di maggiore difficoltà. Una situazione molto delicata, anche per quanto riguarda i sommovimenti all'interno di altri sodalizi. L'omicidio di "Nino Bomba" ha scatenato reazioni a catena. Tanto che il procuratore Motta ha fatto specifica menzione del profondo dissidio in famiglia. Secondo Motta, i congiunti più stretti del defunto Salvatore Padovano avrebbero goduto del sostegno di altri gruppi, in primis di quello dei "Tornese" di Monteroni. Una situazione a dir poco elettrica.

L'indagine avrebbe confermato anche rapporti di cooperazione tra il sodalizio mafioso del basso Salento ed esponenti della criminalità organizzata di altre parti d'Italia, in particolare nell'area milanese. Tutte funzionali al controllo delle diverse attività. La Scu di Gallipoli non è rimasta bloccata al passato. Le strategie si sono fatte più sottili. E le maggiori fonti di guadagno verterebbero sempre più verso nuove attività imprenditoriali. La facciata lecita, sostenuta dai soldi macchiati dal crimine.

Qualche prova concreta dell'azione che avrebbe posto in essere il clan, è stata evidenziata da Motta, quando ha parlato apertamente, nel corso dell'incontro con la stampa, della "adesione silenziosa degli imprenditori e dei pescatori di Gallipoli, alle richieste qualificabili in termini estorsivi". Ma lo stesso capo della procura ha evidenziato "la difficoltà che abbiamo nell'accertare questi fatti. Spesso le forze di polizia ne vengono a conoscenza in forma confidenziale, ma quasi nessuno sporge denuncia". Un caso? "Per esempio, il controllo delle bibite, per cui il meccanismo è sempre lo stesso". Secondo Cataldo Motta "veniva imposto ai bar di acquistare le bibite da un determinato fornitore al quale Padovano era direttamente interessato".


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