Cronaca

Donne vittime di violenza. In un anno più di settecento le richieste d’aiuto

Le cifre del rapporto annuale presentato dal centro antiviolenza "Renata Fonte" dimostrano come si tratti di una vera "emergenza sociale". Per ora, il 40% di loro decide di denunciare il proprio carnefice. Serve rafforzare la rete

Foto LeccePrima (tutti i diritti riservati)

LECCE – 720 richieste di aiuto per reati di maltrattamenti in famiglia, di stalking e di violenza sessuale. Non sono semplici dati statistici, ma sono il resoconto dei drammi, che spesso si celano nelle vite quotidiane, raccolti dal centro antiviolenza “Renata Fonte” di Lecce. Nel rapporto annuale per l’anno 2011-2012, vengono precisati i numeri di quella che può essere definita una vera e propria “emergenza sociale”, che trova spesso terreno fertile nel retaggio disumano ed ancora diffuso (nonostante l’informazione e i passi avanti della società), della donna vista come “proprietà” del “maschio”. I numeri (che occorre ribadirlo ancora non sono semplicemente cifre asettiche, ma vissuti spesso spezzati) danno un quadro ancora fosco del problema, dimostrando quanto sia diffuso il problema.

Una qualche positività la si riscontra in due elementi: il primo è la percezione crescente che il centro stesso, diretto con dedizione totale da Maria Luisa Toto, coadiuvata a sua volta da tante volontarie in questa battaglia, sia un avamposto per il sostegno concreto alle donne vittime di violenza; dall’altro, l’aspetto incoraggiante è che il numero delle donne che denunciano i maltrattamenti e le violenze si attesti al 40%, sebbene sia sempre troppo basso rispetto a quello generale.

Il contatto e le richieste di aiuto sono pervenute nel 60% dei casi attraverso il numero verde nazionale 1522, per il 30% attraverso internet, per il 10% attraverso gli incontri di prevenzione svolti nelle scuole. Delle donne che hanno contattato il centro Antiviolenza, il 40% ha richiesto la presa in carico, iniziando un percorso di denuncia ed usufruendo dei servizi di assistenza legale, colloqui di sostegno, colloqui psicologici, accompagnamento (se richiesto) presso le strutture di emergenza ed il servizio di testimonianza, nei procedimenti penali, da parte delle operatrici del centro in quanto persone informate sui fatti; il 35% ha dichiarato di non voler denunciare ma di voler usufruire dei colloqui di sostegno e colloqui psicologici; il 25% ha richiesto informazioni, anche di carattere legale, ma non ha proceduto alla presa in carico.

La categoria di donne che rientra nelle ultime due percentuali ha addotto, come motivazione principale della mancata denuncia, la paura di non ricevere “un’adeguata protezione” per la propria incolumità ed, al tempo stesso, di suscitare ulteriori reazioni aggressive da parte del “carnefice”. I dati raccolti continuano a confermare che il fenomeno della violenza viene perpetrato soprattutto all’interno del contesto familiare. Difatti il 95% di donne dichiara di avere subito violenza da parte del partner o ex partner e solo il 5% da parte di conoscenti o estranei.

Le forme di violenza sono nell’80% dei casi sia fisica che psicologica, nel 20% sessuale; ma l’elemento innovativo è che il reato di violenza sessuale, all’interno della relazione di coppia, inizialmente non viene percepito come tale, in quanto considerato come un dovere coniugale. Solo dopo un percorso di elaborazione con le operatrici, le donne riconoscono di avere subito rapporti sessuali contro la propria volontà. Tale dato induce alla constatazione che la violenza sessuale, sebbene non riconosciuta né denunciata, è sempre presente nelle relazioni violente.

Le donne che si sono rivolte al Centro hanno un’età compresa tra i 20 ed i 50 anni. Il fenomeno della violenza continua ad essere trasversale, ma è stata riscontrata una maggiore consapevolezza ed una maggiore propensione alla denuncia nelle donne appartenenti a ceti sociali medi. Invece, le donne appartenenti ai ceti medio-alti non sono propense alla denuncia per mantenere “il prestigio” della famiglia. Nei ceti socialmente bassi le donne non denunciano perché, si è notato, sono fortemente ancorate al concetto di “omertà”. Il 90% delle donne non è produttrice di reddito, il 10%, nonostante abbia un’occupazione, non dispone di risorse economiche in quanto il partner le ha impedito, nel corso degli anni, e continua ad impedirle, la gestione dello stipendio.  

In base ai dati sopra esposti, emerge la necessità di adottare alcune misure pratiche per venire incontro alle esigenze delle persone vittime di violenze: la prima è quella di dotare il centro antiviolenza leccese di una casa rifugio (ad indirizzo segreto) per l’ospitalità delle donne che decidono di sottrarsi alla situazione di violenza in cui vivono, unitamente ai loro figli, offrendo loro l’opportunità di stare in un luogo sicuro dove potersi ricostruire non solo a livello emotivo, ma anche in tutti quei settori di vita quotidiana come lavoro, scuola, casa che vengono minati e spesso distrutti dalla relazione violenta.

In secondo luogo, come ribadisce la presidente del centro Toto, “creare una rete organizzata di protezione per la prevenzione e il contrasto alla violenza sulle donne con specifiche linee di intervento, con il coinvolgimento di Prefettura, Forze dell’Ordine, Magistratura, servizi sociali territoriali e Pronto soccorso”. Quindi, “garantire una adeguata situazione abitativa alle donne vittime di violenza e ai loro figli, ad esempio, attraverso la previsione, nei bandi di assegnazione di alloggi, di un punteggio adeguato per le donne che seguono un percorso di uscita dalla violenza”. Infine, l’istituzione di un “fondo speciale per le donne vittime di violenza” che non hanno autonomia economica, né occupazione e con figli a carico.


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