Cronaca

L’emergente Pizzolante, tra fiumi di cocaina e l’ombra di un omicidio tentato tre volte

L'uomo di riferimento di Giannotta per i traffici dall'Olanda è giovane e di buona estrazione. Insospettabile fino al primo arresto, nel 2018. E avrebbe persino ordito l'uccisione, fallita tre volte, di un presunto informatore

LECCE – Non c’è dubbio. Alduino “Aldo” Giannotta, 59enne di Acquarica del Capo (oggi Presicce-Acquarica, ndr), residente in Olanda e traffici di cocaina con il Brasile (dove si era rifugiato di recente) fin dal calare degli anni ’90 del secolo scorso, quando strinse rapporti di “lavoro” con il clan della Scu retto dal boss leccese Filippo Cerfeda, è per gli investigatori il dominus del nuovo sistema di smistamento della droga. Quintali di “bianca” viaggiavano lungo le tratte di mezzo mondo, con destinazione finale il Salento. C’è però un’altra figura che spicca all’orizzonte, nell’operazione “Skipper”. Si pone giusto un gradino al di sotto. È quella di Pierpaolo Pizzolante. Una figura a dir poco emblematica dei profili emergenti negli ambienti della moderna criminalità.

Nulla di più lontano dallo stereotipo del bullo che cresce nel ghetto e pian piano si fa strada dai bassifondi fino a raggiungere i vertici di qualche organizzazione. Tutt’altro. Anch’egli acquaricese, 31 anni da poco compiuti, di buona estrazione familiare, Pierpaolo Pizzolante aveva ancora una fedina penale immacolata, ai primi di luglio del 2018, quando la Squadra mobile di Lecce e il Commissariato di polizia di Taurisano lo sorpresero con Antonio Clemente di San Donaci, oggi 38enne (anche il suo un nome che compare nell’operazione “Skipper”), con 9 chili di cocaina pura, per circa mezzo milione di euro. Tutto stipato in un garage ad Acquarica del Capo.

Fiumi di cocaina per il basso Salento

Quello di Pizzolante dell’estate di due anni addietro (di recente la condanna in abbreviato a sette anni), è stato uno dei cinque arresti eseguiti in flagranza di soggetti sui quali si stava, comunque, già posando la lente d’ingrandimento della Direzione distrettuale antimafia. Nonostante la giovane età e, appunto, il fatto che non avesse in apparenza collusioni con ambienti malavitosi, Pizzolante poteva già all’epoca definirsi - stando alle carte dell’inchiesta - uno degli uomini al vertice sul territorio nel traffico di quantitativi enormi di cocaina. E con un collaudato sistema che, quanto a capacità logistiche, ricorda quello dei cartelli colombiani o messicani: droga in partenza dal continente sudamericano verso il porto di Amsterdam, stoccaggio in luoghi sicuri, veicoli commerciali modificati ad arte per nascondere la sostanza fino alla tappa intermedia, la Campania, e poi verso quella finale, l’area del Capo di Leuca.

Un altro aspetto che colpisce? Il fatto che la presunta organizzazione capeggiata da Giannotta non avesse rapporti con la Sacra corona unita. Almeno, così non sembrerebbe. Dalle pieghe dell’indagine, infatti, emerge un gruppo che agisce in autonomia. Un mondo parallelo rispetto ai personaggi storici del Salento e ai loro più recenti luogotenenti, uniti dal vincolo mafioso.

In questo panorama così innovativo, Pizzolante, al quale, nel corso dell’operazione, sono stati sequestrati beni immobili per 800mila euro (ritenuti investimenti dagli introiti derivanti dagli stupefacenti), potrebbe definirsi un giovane in rapida ascesa, di sicuro affidamento per il più scafato Giannotta. Quasi un alter ego, tanto rientrare nella maggior parte degli affari imbastiti e di avere anche disponibilità di armi, altra punta di diamante dei traffici scoperti dagli investigatori della polizia. Il suo nome è associato a innumerevoli approvvigionamenti di veri e propri fiumi di cocaina dall’Olanda, pronti a inondare il Salento. Carichi spesso molto grossi, per cifre da capogiro. Tutta merce da smistare poi sulla piazza locale, usando come canali alcuni sodali ritenuti alle dirette dipendenze.

Si legge, infatti, nelle carte: “Pizzolante, organizzatore, uomo fidato del Giannotta, si occupava di ricevere gli approvvigionamenti di cocaina olandese nel Salento e ne organizzava la distribuzione a Rizzo Giovanni (53enne di Taviano, ndr) per il territorio di Taviano e a Clemente Antonio per San Donaci; Rizzo Giovanni, partecipe, riceveva costantemente la cocaina del Giannotta, direttamente o tramite il Pizzolante, e si occupava della successiva distribuzione sulle piazze di Taviano, Taranto e provincia, Nardò, Scorrano, Lecce e Ruffano”. E via, via, ridiscendendo la piramide, in una rete sempre più fitta di rapporti.

"È un informatore della polizia": i tre agguati falliti

C’è poi un episodio che merita un approfondimento a parte e che sembra dimostrare la smisurata voglia di affermazione di Pizzolante. A lui, infatti, è attribuita anche la macchinazione di un omicidio. Uccisione mai avvenuta, s’intende, ma tentata per ben tre volte, secondo le testimonianze rese da uno degli indagati ai magistrati. Lo scopo, per gli inquirenti, fare piazza pulita di qualsiasi ostacolo all’espansione del giro, eliminare chiunque si fosse frapposto, rappresentando un potenziale rischio.     

Nell’ordinanza compaiono i nomi di alcuni soggetti indagati a piede libero. Alcuni sono del Tarantino. Uno di loro Vito Nicola Mandrillo, 30enne, ha raccontato agli inquirenti di come Pizzolante fosse ossessionato dalla figura di un 45enne, residente nel basso Salento, ritenendolo un informatore delle forze dell’ordine. Fino a convincersi che andasse eliminato fisicamente. Mandrillo, incaricato da un altro tarantino, con cui aveva condiviso un periodo in carcere, il 46enne Marcello Lucchese, e che sembra avesse rapporti più stringenti con Pizzolante, avrebbe collocato sotto la Fiat Panda dell’uomo nel mirino una bomba artigianale realizzata con C4. Fra coloro che l’avrebbero realizzata, anche i tavianesi Giovanni Rizzo e Angelo Donato Rainò, più Luca Pavese, 46enne di Pulsano. L’ordigno, comandato a distanza, sarebbe stato attivato proprio da Pizzolante, esplodendo solo in parte e risultando quindi un fiasco. Nonostante tutto, Mandrillo avrebbe ricevuto nell’occasione un compenso da Pizzolante, 500 euro e circa 6 grammi di cocaina.

Tant’è. Fallito quel tentativo, risalente al giugno del 2016, Mandrillo sarebbe stato incaricato una seconda volta, sempre da Lucchese, di agire con metodi meno “rumorosi”, per così dire. E con moto, guanti, passamontagna, casco e pistola 9x19 con due caricatori che sarebbero stati forniti da Rizzo e Pizzolante, avrebbe atteso il 45enne da assassinare nelle campagne intorno ad Acquarica del Capo, in un punto in cui si supponeva sarebbe passato. Ma l’uomo, quel giorno, non si sarebbe fatto vivo.

Così, si sarebbe tornati al punto di partenza, un’altra bomba, da piazzare vicino casa dell’uomo da uccidere. A farlo, sarebbero stati, il 10 agosto del 2016, Mandrillo e un altro pulsanese, Massimo Padula, 44enne, accompagnati sul posto da Giovanni Rizzo. Ma, stando sempre al racconto, avrebbero deciso di non attivare l’esplosione perché, invece dell’uomo da assassinare, sarebbero scesi da casa moglie e figlia della vittima. Lui, non si sarebbe proprio fatto vedere.

Miracolato tre volte, il 45enne, nel settembre del 2017 è stato ascoltato presso il Commissariato di Taurisano, fino a ottenere un riscontro tecnico almeno per il primo episodio, quello del giugno del 2016, mostrando fotografie da lui stesso scattate dell’ordigno parzialmente esploso sotto la sua autovettura. Per il resto, ci sono alcune lacune, in questa vicenda del tentato omicidio, certo, per cui, rispetto ad altri tasselli dell’ordinanza con riscontri più precisi, riguardanti i traffici di droga, deve essere presa con qualche beneficio. Se tutto confermato, però, sarebbe sintomatica del livello di spietatezza raggiunto, pur di mantenere lo status.


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