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Uru di Fabio Carbone, un romanzo su lavoro precario e territorio deturpato nel Salento

Carbone ricorre alla figura ancestrale dell’uru, folletto maligno della tradizione popolare salentina, per raccontare una storia contemporanea intrisa di realismo

Le mani rugose e sapienti di Pompilio accarezzavano dolcemente la chioma della vite, andando a staccare i germogli e le foglie in eccesso. Legavano poi, con fibre di rafia, i ramoscelli più giovani al filo di ferro della spalliera, convogliandoli in una crescita ordinata e al riparo dai pericoli del suolo. Come un maestro d’arpa che sa quali corde toccare, l’anziano contadino eseguiva a memoria quelle operazioni che tanto tempo prima gli aveva insegnato suo padre, che a sua volta le aveva apprese dal nonno. Poco lontano, Paolo, che delle cose della campagna nulla sapeva e niente aveva mai voluto imparare, procedeva nella sua corsa lenta e affannata sul ciglio delle strade dissestate del contado, come un corpo estraneo in quello scenario che evocava epoche remote inspiegabilmente sopravvissute all’avanzare dei tempi. Ai bordi dell’asfalto, le lucertole impaurite dal suo incedere frusciavano tra le sterpaglie, che solo parzialmente riuscivano a nascondere immondizia di ogni genere: piastrelle, cessi, mucchi di materiale di risulta, residui di lavori edili di dubbia regolarità; materassi, coperte e copertoni; bottiglie di vetro, bottiglie di plastica, volantini promozionali dei supermercati con imperdibili offerte ormai perdute; qua e là anche qualche santino dal sorriso sbiadito, eco lontana di campagne elettorali già dimenticate; e, ancora, scarpe spaiate, poltrone sfondate, sedie bruciate; profilattici anatomici, stimolanti, ritardanti, cimeli di guerra e d’amore imboscato nei fondi. Di tanto in tanto si ergeva dalla folta vegetazione dei campi abbandonati qualche vecchio frigorifero, o anche il tubo catodico di un televisore obsoleto, mentre un fico d’India cullava tra le sue braccia spinose un saccone nero, gravido di misteriosi e variegati rifiuti. La natura accoglieva così gli scarti di una civiltà superiore, mentre piano piano si riprendeva gli spazi lasciati da un’agricoltura morente, cui solo i vecchi come Pompilio opponevano una strenua resistenza, ultimi custodi di un codice di conoscenze e di tradizioni spazzato via dal progresso. Indifferenti ai progetti dell’uomo, ciuffi di canne spuntavano qua e là tra i poderi, mentre la macchia ingurgitava terreni negletti, masserie diroccate e canali dimenticati, a ricordare a tutti il volto vero di quel territorio, modellato da secoli di attività antropica. A ribadire che ogni cosa su questo pianeta è di passaggio, e alla terra ritorna, in un modo o nell’altro. (pp.5/6)

Il protagonista di URU è Paolo, un giovane che, nonostante la laurea, si ritrova a lavorare in un call center; un non luogo spersonalizzante come il set chiuso di un reality show, una bolla in cui ogni operatore diventa un numero funzionale al profitto. Accanto a Paolo ci sono Pancrazio, un amico con cui può disquisire di massimi problemi della loro generazione, Giulia, la sua fidanzata, Armando un ex imprenditore fallito, che ha perso da tempo la sua battaglia contro la globalizzazione; tutti sempre in attesa di essere premiati per il miglior risultato o licenziati, per non aver venduto sufficienti contratti, da Carla Alberta Scudieri, la rapace direttrice responsabile del call center. Nella dinamica precisa e mai violata che accompagna ogni giornata lavorativa, cosa accomuna i personaggi sono lo stress di un lavoro monotono e crudele che richiede sempre un effort aggiuntivo e il sogno di un altrove dove poter mettere a frutto le competenze maturate con lo studio o l’esperienza.

Ad aggravare il quasi burnout di Paolo si aggiunge la presenza ingombrante dell’uru, uno gnomo, un nano burlone che può essere benefico o malefico, tipico della tradizione popolare salentina contadina. (Uru è il nome con cui questa creatura misteriosa si chiama nel nord Salento, zona di provenienza dell’autore; a Lecce diventa  invece lu laurieddhru e  nel sud Salento u scazzamurieddu). L’uru inizia a turbare il sonno di Paolo, che nella sua stanza lo sente muoversi e  picchiettare il pavimento con le unghie ricurve, fino a quando una notte il ragazzo non si sveglia perché crede di soffocare e vede, o crede di vedere, una grossa bestia accovacciata sul suo petto che lo scruta. L’incontro dura una frazione di secondi e poi la creatura zoomorfa con un balzo si dissolve nel buio lasciando Paolo nello sgomento. Mentre un omicidio inspiegabile scuote il call center, già in subbuglio per la paventata possibilità di una sua delocalizzazione in Romania, la polizia inizia a indagare, ma senza ottenere risposte concrete che chiariscano l’accaduto.

Nel frattempo Paolo, scosso da inquietudini e allucinazioni, su suggerimento di Giulia, si ritrova a consultare uno psicoterapeuta e poi, di testa sua, la masciara Teresa. La campagna salentina deturpata dalla xylella e dai rifiuti abbandonati sul ciglio delle strade rurali e qualche sparuto eroico contadino che ancora continua a lavorare la terra smarginano per lasciare sempre più spazio a un mondo nuovo, governato dal cinismo e dalla mancanza di empatia.

Tra le due dimensioni, quella ancestrale e quella contemporanea, agisce l’uru: manifestazione dei timori più reconditi, delle colpe mai espiate, degli impulsi più arcaici da cui la modernità crede e s’illude di essersi emancipata.

Fabio Carbone ci restituisce un Salento lontano dallo slogan lu sulu, lu mare e lu jentu a misura di turista, ne fa invece una fotografia realistica: quella di un’intera generazione rosa dal precariato, di una terra amara ma generosa ormai profondamente ferita dalla xylella e dai rifiuti e sullo sfondo innesta personaggi (Teresa e Calliope su tutti), storie di fantasia e le intreccia in una struttura narrativa solida. Uru di Fabio Carbone è un bell’esordio.

Fabio Carbone è nato nel 1986 e vive a Guagnano, in provincia di Lecce. Laureato in giornalismo, è un analista di contenuti radiotelevisivi. Tra il 2016 e il 2020 ha fondato e diretto la casa editrice Ofelia, curando la pubblicazione di testi di narrativa di autori italiani, esordienti e non. Uru (Fernandel) è il suo primo romanzo.

Per la foto di Fabio Carbone si ringrazia Davide Ingrosso.


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